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11/05/13

        In ricordo di mia madre, domani Festa della mamma


                 
                                                                        A mia madre

           E ora che osservo questa terra che ti consuma
           vorrei dirti ancora parole di figlio
           perché non so se tutto il bene che ti ho dato
           fu abbastanza.
          Ora che sei al di là del tempo e dello spazio
          e conosci le mie domande, aiutami a cercarne le risposte.
          Perché io ti sia vicino, incontrami nei sogni
          e saprò parlarti ancora come un tempo.
          Un tempo, lo ricordi?
          Ero io a partire e tu a rimanere. 
          Ma oggi che sei partita tu, in fretta e senza bagaglio
          sono io che aspetto, pur sapendo che non torni.

          Che questo viaggio ti sia dolce allora,
          come dolce fu il mio viaggio, qui con te
          e quando una mano calda di donna accarezzerà il mio volto
          sono certo che in quel caldo ce ne sarà anche un po’ del tuo.
          Ora che osservo questa terra che ti consuma
          i ricordi mi tempestano la mente
          e piango
          come un bimbo disperato.
          Ora che so che sarai sempre al mio fianco
          cercherò nei miei futuri giorni i segni della tua presenza
          e per accontentarti sorriderò a dirotto, come un uomo certo
          perché è nel tuo sorriso, il mio più dolce ricordo di te.

27/01/13

La giornata della Memoria - 27 gennaio 2013


La Scala della morte
A sinistra, gli internati, nella tipica fila per cinque imposta nei lager, salgono sulla scala, con dei massi caricati sulle spalle, facendo contemporaneamente un passo alla volta tutti insieme, per il necessario equilibrio della schiera sulla ripida scalinata di 186 gradini.




“Se questo è un uomo”
                                                                 A Primo Levi
Non s’apprende la Storia dai libri
perché i libri non grondano sangue,
non strozzano pianti,
i libri non sanno la Storia.

Occorre vederli, e io li ho visti
i campi concimati con ossa bambine,
i capelli di donna divenuti tappeti
e le scarpe senza stringhe,
a migliaia accatastate.
E le valigie sequestrate,
su cui ancora implorano le scritte dei nomi dei tanti deportati.

Ho calpestato le zolle
inzuppate dal sangue di mille e mille fratelli
periti sotto pietre rotolanti
sui centottantasei scalini della “Gradinata della morte”
o spinti in basso, per diletto altrui,
dalle pareti ripide della cava di pietra, a Mauthausen.

E nel silenzioso eloquente lamento delle baracche,
ho ascoltato,
le grida di strazio delle sorelle imbrogliate
delle sorelle imbrigliate nei fili elettrizzati e vigili
posti a guardia dei confini del campo di concentramento, a Dachau.

Ho camminato nei corridoi unti di pioggia
tra le baracche di Auschwitz,
fino alle sponde del piccolo lago
le cui acque annegarono ceneri dei corpi cremati.
Ho camminato fino al muro dell’ultimo pianto,
fin sotto le docce delle camere a gas
e dinanzi a bocche di forni crematori ancora rossi, ho pregato
bestemmiando quel dio vigliacco per questo suo recondito disegno.

“Se questo è un uomo” ho gridato più volte,
“Se questo è un uomo” ho ripetuto forte
che non rimanga traccia allora del suo seme
che sia estirpata per sempre la sua forma
e nuova vita sgorghi su questa nostra terra
e che tutto quel dolore sparso
dissoltosi nel vento,
ritorni con il vento per incanto
e come un canto sia memore di quel tempo,
quel tempo che camminammo con supremo disincanto
fino al muro dell’ultimo pianto.     


           Giuseppe Marotta