Perché ho scritto: "I bambini osservano muti le giostre dei grandi"


    Ho iniziato a scrivere: "I bambini osservano muti le giostre dei grandi" una sera di giugno del 2004, in una sala cinematografica di Monza, mentre guardavo questo film:

  

 Certo, quella sera ho iniziato a scriverlo nella mente, e ho continuato a imprimerlo nella mia corteccia cerebrale per almeno quattro anni ancora, prima di mettere giù una sola riga. Hanif Kureishi, uno dei miei scrittori preferiti, sostiene che scrivere richieda molta manodopera: tuttavia, in questo caso, ho il sospetto di aver interpretato troppo alla lettera il suo suggerimento.
    Quella sera, mentre guardavo il film in cui il piccolo Rosario veniva istruito per diventare un killer della camorra, mi sono chiesto se poteva esserci la possibilità di deviare quel percorso, che un'analisi sociologica approssimativa considera inevitabile per la maggior parte dei bambini che nascono in certi quartieri di Napoli, o di Palermo. Il film che stavo guardando era un bel film senza dubbio, e il libro da cui era stato tratto, "Certi Bambini" di Diego de Silva, aveva ricevuto premi e giudizi lusinghieri dalla critica; tuttavia più lo guardavo e più cresceva in me l'idea che un film in cui Rosario avesse rifiutato quella logica, secondo cui nascere in certi quartieri o in certe famiglie necessariamente doveva condurre a impugnare una pistola, sarebbe stato realistico ed efficace quanto il suo contrario.
  Ho immaginato quindi una storia di ribellione interiore, e non solo, che avrebbe opposto il piccolo protagonista del libro che avevo iniziato a scrivere lì, seduta stante, al contesto familiare e ambientale in cui era nato, ossia una famiglia di camorristi in un quartiere degradato tra Napoli e Caserta. 
 Nascere in certi quartieri o in certe famiglie di Napoli o di Palermo poteva essere quindi un valore aggiunto che avrebbe contribuito a rafforzare nel mio protagonista la voglia disperata di urlare il proprio dissenso di fronte al percorso di vita scellerata che qualcuno aveva già programmato per lui. 
 

  Da quella sera, dopo la visione del film, ho cercato parole e sguardi diversi per quel bambino che ritornava a casa in metrò. Ho cercato il terrore che lo imprigionava, quel terrore naturale che s'impossessa di tutti i bambini di fronte alla violenza degli adulti e ho immaginato il suo dialogo interiore: "cosa pensano i bambini che nascono in certi quartieri o in certe famiglie di Napoli o di Palermo?" Mi sono chiesto. E ancora: "i figli dei camorristi, dei capimafia come giudicano i loro papà?" e poi "Cosa accade nella testa di un bambino che, durante i festeggiamenti della sua prima comunione, vede piombare all'improvviso nel ristorante i carabinieri che sono venuti ad arrestare il suo papà, noto boss del quartiere?" La risposta credo sia scritta nel volto di Pasqualino, il bambino che compare nella prossima scena, tratta da "Forte Apache" un  film di Marco Risi del 2009, dedicato a Giancarlo Siani. 

 
   "I bambini osservano muti le giostre dei grandi" è nato così, osservando la faccia attonita di Rosario, di Pasqualino e di tanti altri bambini di fronte alle scene di ordinaria follia che quotidianamente avvengono in certi quartieri e in certe famiglie di Napoli e provincia. Un'osservazione che va da "Certi Bambini" a "Forte Apache", dal 2004 al 2009, anno in cui ho iniziato la vera stesura del romanzo che si è conclusa nel marzo 2011: qualche giorno prima della scadenza del Torneo Letterario Io scrittore.
   In questi sette anni circa a Napoli e dintorni la camorra ha continuato a mietere vittime, una mi ha colpita in maniera particolare: il 10 aprile 2009 a Villaricca, Vittorio Maglione, figlio tredicenne di un camorrista si è suicidato lasciando un biglietto:  «Non sopporto più mio padre, saluto tutti i parenti e vi chiedo scusa»," http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/suicidio-napoli/suicidio-napoli/suicidio-napoli.html   http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/1105   
   Un evento così tragico non lasciava spazio a commenti inutili: in questo caso non avevo scene di film da analizzare, la realtà si presentava cruda e improvvisa come un pugno in faccia che fa male e lascia segni vistosi. In quei giorni, lessi più volte le cronache di quell'evento triste, e più leggevo e più cresceva in me l'idea che Vittorio Maglione rappresentasse in maniera evidente la maggioranza silenziosa di tutti i bambini che vivono in certi quartieri e in certe famiglie di Napoli e provincia, gli stessi che un'analisi sociologica approssimativa relega tra i bambini a rischio. Volutamente, non ho mai parlato di Vittorio Maglione nel mio romanzo, ma ogni parola è stata poi riscritta pensando al suo gesto disperato, e cercando, con fatica, di affidare al piccolo Remì, il protagonista del mio romanzo, la forza e l'astuzia di reagire e opporsi, in nome di tutti i bambini che vivono in certi quartieri o in certe famiglie di Napoli o di Palermo, o di tutto il mondo, a chi con l'inganno gli vorrebbe riservare un posto sulla giostra dei grandi.  
  
   Giuseppe Marotta  
  







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